territorio:sgomberi:introduzione

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territorio:sgomberi:introduzione [16/10/2019 18:43]
Stefano Simoncini
territorio:sgomberi:introduzione [16/10/2019 18:43] (versione attuale)
Stefano Simoncini
Linea 3: Linea 3:
  
 Si rafforza la minaccia di una serie di sgomberi delle occupazioni romane, sia abitative sia relative a molti centri sociali, con una chiara volontà di sradicare l’intero tessuto delle esperienze di autorganizzazione che storicamente a Roma hanno garantito la tutela di diritti sociali e civili fondamentali insieme alla valorizzazione dal basso, sociale e culturale, di un patrimonio altrimenti inutilizzato o oggetto di speculazione immobiliare. Sempre minore è inoltre l'attenzione a predisporre misure e risorse volte a conseguire, dopo gli sgomberi, soluzioni stabili. Sembrano contare soltanto la tutela della legalità formale e della proprietà, mentre nella migliore delle ipotesi si trovano soluzioni provvisorie e di facciata.  Si rafforza la minaccia di una serie di sgomberi delle occupazioni romane, sia abitative sia relative a molti centri sociali, con una chiara volontà di sradicare l’intero tessuto delle esperienze di autorganizzazione che storicamente a Roma hanno garantito la tutela di diritti sociali e civili fondamentali insieme alla valorizzazione dal basso, sociale e culturale, di un patrimonio altrimenti inutilizzato o oggetto di speculazione immobiliare. Sempre minore è inoltre l'attenzione a predisporre misure e risorse volte a conseguire, dopo gli sgomberi, soluzioni stabili. Sembrano contare soltanto la tutela della legalità formale e della proprietà, mentre nella migliore delle ipotesi si trovano soluzioni provvisorie e di facciata. 
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 Le minacce arrivano da ogni fronte. In primis, e senza soluzione di continuità, dai governi che si sono avvicendati in questi anni, a partire dal cosiddetto piano casa Renzi, o decreto Lupi (Legge 28 marzo 2014 n. 47, “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per expo 2015”), e dal suo famigerato art. 5, secondo cui “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento ai pubblici servizi…”. Una stretta repressiva che è stata naturalmente rafforzata dall’ex ministro degli Interni Matteo Salvini e dai suoi decreti sicurezza, ed ha adottato Roma - ovvero la città in cui il fenomeno delle occupazioni è più diffuso e radicato a causa della cronica latitanza di politiche abitative esociali, nonché della mala gestione del patrimonio immobiliare pubblico esistente -, come principale terreno di applicazione e sperimentazione. Qui la stretta repressiva si è convertita in un piano organico di sgomberi concepito come progetto pilota di un piano nazionale.  Le minacce arrivano da ogni fronte. In primis, e senza soluzione di continuità, dai governi che si sono avvicendati in questi anni, a partire dal cosiddetto piano casa Renzi, o decreto Lupi (Legge 28 marzo 2014 n. 47, “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per expo 2015”), e dal suo famigerato art. 5, secondo cui “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento ai pubblici servizi…”. Una stretta repressiva che è stata naturalmente rafforzata dall’ex ministro degli Interni Matteo Salvini e dai suoi decreti sicurezza, ed ha adottato Roma - ovvero la città in cui il fenomeno delle occupazioni è più diffuso e radicato a causa della cronica latitanza di politiche abitative esociali, nonché della mala gestione del patrimonio immobiliare pubblico esistente -, come principale terreno di applicazione e sperimentazione. Qui la stretta repressiva si è convertita in un piano organico di sgomberi concepito come progetto pilota di un piano nazionale. 
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 Predisposto attraverso una serie di interlocuzioni e atti coordinati tra Viminale, prefettura ed enti locali con il supporto del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza pubblica, il piano ha inteso censire le occupazioni e la relativa popolazione, verificarne le condizioni igienico-sanitarie, accertare lo stato degli immobili, definire criteri e ordini di priorità degli interventi e, in linea molto teorica, prefigurare soluzioni alternative al fine di procedere con una sistematica campagna di sgomberi, e si è concretizzato nel “Programma” prefettizio con l’elenco e la descrizione di 22 interventi prioritari pubblicato il 18 luglio scorso. Si tratta di un percorso che prende avvio durante il periodo della gestione commissariale di Francesco Paolo Tronca, su impulso del Tavolo tecnico per l’emergenza abitativa voluto dall’allora prefetto Franco Gabrielli e soprattutto del “Programma per l'emergenza abitativa per Roma Capitale” della Regione Lazio, che con la delibera del 15 marzo 2016 stanziava una prima tranche di 40 milioni (su 194 complessivi) per predisporre concrete soluzioni abitative rivolte paritariamente sia agli aventi diritto delle graduatorie Erp, sia ai “nuclei familiari che vivono in immobili pubblici o privati impropriamente adibiti ad abitazione”, pubblicando un primo elenco di 79 occupazioni romane. Circa un mese dopo, il 12 aprile, il neoinsediato Commissario Tronca dava approvazione con la sua prima delibera (50/2016) al “Piano di attuazione del programma regionale per l’emergenza abitativa per Roma Capitale”, limitando al 15% del totale la quota parte dei fondi regionali da destinare agli abitanti delle occupazioni, e pubblicando un proprio elenco, molto simile a quello regionale, di 74 occupazioni da sgomberare, nonché una lista ristretta di 16 casi prioritari.  Predisposto attraverso una serie di interlocuzioni e atti coordinati tra Viminale, prefettura ed enti locali con il supporto del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza pubblica, il piano ha inteso censire le occupazioni e la relativa popolazione, verificarne le condizioni igienico-sanitarie, accertare lo stato degli immobili, definire criteri e ordini di priorità degli interventi e, in linea molto teorica, prefigurare soluzioni alternative al fine di procedere con una sistematica campagna di sgomberi, e si è concretizzato nel “Programma” prefettizio con l’elenco e la descrizione di 22 interventi prioritari pubblicato il 18 luglio scorso. Si tratta di un percorso che prende avvio durante il periodo della gestione commissariale di Francesco Paolo Tronca, su impulso del Tavolo tecnico per l’emergenza abitativa voluto dall’allora prefetto Franco Gabrielli e soprattutto del “Programma per l'emergenza abitativa per Roma Capitale” della Regione Lazio, che con la delibera del 15 marzo 2016 stanziava una prima tranche di 40 milioni (su 194 complessivi) per predisporre concrete soluzioni abitative rivolte paritariamente sia agli aventi diritto delle graduatorie Erp, sia ai “nuclei familiari che vivono in immobili pubblici o privati impropriamente adibiti ad abitazione”, pubblicando un primo elenco di 79 occupazioni romane. Circa un mese dopo, il 12 aprile, il neoinsediato Commissario Tronca dava approvazione con la sua prima delibera (50/2016) al “Piano di attuazione del programma regionale per l’emergenza abitativa per Roma Capitale”, limitando al 15% del totale la quota parte dei fondi regionali da destinare agli abitanti delle occupazioni, e pubblicando un proprio elenco, molto simile a quello regionale, di 74 occupazioni da sgomberare, nonché una lista ristretta di 16 casi prioritari. 
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 Da Tronca in avanti, si registra uno scivolamento progressivo verso un approccio repressivo che fa avanzare la pianificazione e attuazione degli sgomberi, senza predisporre, nonostante la disponibilità dei fondi, stabili alternative per le persone. La circolare Marco Minniti del 1 settembre del 2017 reca ancora qualche traccia di una volontà politica di trovare soluzioni abitative contestualmente agli sgomberi, anche perché arriva all’indomani dello scempio di via Curtatone vicino alla Stazione Termini, dove il 19 agosto 2017, 800 persone, prevalentemente rifugiati eritrei, erano stati scaraventati in mezzo alla strada senza predisporre alcuna contromisura. Ma infine ogni atteggiamento prudenziale viene meno ovviamente con l’arrivo di Matteo Salvini al Viminale, che ha determinato una ulteriore stretta repressiva a partire dalla circolare ministeriale del 1 settembre 2018 (sgomberi incondizionati), e con il decreto sicurezza approvato nel novembre successivo (inasprimento delle pene per chi occupa). Una stretta tradottasi nello sgombero selvaggio di via Cardinal Capranica, eseguito il 15 luglio scorso con uno spiegamento di forze senza precedenti (16 blindati), in seguito al quale la comunità che abitava l’ex scuola di Primavalle dal 2003, circa 300 persone di nazionalità marocchina, rumena e italiana (tra cui 80 bambini), è stata sradicata e disgregata senza aver predisposto valide alternative. Da Tronca in avanti, si registra uno scivolamento progressivo verso un approccio repressivo che fa avanzare la pianificazione e attuazione degli sgomberi, senza predisporre, nonostante la disponibilità dei fondi, stabili alternative per le persone. La circolare Marco Minniti del 1 settembre del 2017 reca ancora qualche traccia di una volontà politica di trovare soluzioni abitative contestualmente agli sgomberi, anche perché arriva all’indomani dello scempio di via Curtatone vicino alla Stazione Termini, dove il 19 agosto 2017, 800 persone, prevalentemente rifugiati eritrei, erano stati scaraventati in mezzo alla strada senza predisporre alcuna contromisura. Ma infine ogni atteggiamento prudenziale viene meno ovviamente con l’arrivo di Matteo Salvini al Viminale, che ha determinato una ulteriore stretta repressiva a partire dalla circolare ministeriale del 1 settembre 2018 (sgomberi incondizionati), e con il decreto sicurezza approvato nel novembre successivo (inasprimento delle pene per chi occupa). Una stretta tradottasi nello sgombero selvaggio di via Cardinal Capranica, eseguito il 15 luglio scorso con uno spiegamento di forze senza precedenti (16 blindati), in seguito al quale la comunità che abitava l’ex scuola di Primavalle dal 2003, circa 300 persone di nazionalità marocchina, rumena e italiana (tra cui 80 bambini), è stata sradicata e disgregata senza aver predisposto valide alternative.
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 Lo schema generale che emerge da queste vicende è sconfortante. A fronte di piani prefettizi che fissano priorità fondate principalmente sull’esigenza di scongiurare il danno erariale derivato dalla mancata esecuzione dell’ordine di rilascio, che implica pesanti sanzioni a risarcimento dei privati per la pubblica amministrazione, si assiste da un lato a sgomberi violenti e risolutivi in relazione a immobili di pregio o comunque facilmente valorizzabili, che siano di proprietà privata (Curtatone) o pubblica (Cardinal Capranica), dall’altro, più sotto traccia, si producono quelli che potremmo definire “sgomberi ricorsivi”, ovvero sgomberi di immobili periferici e difficilmente valorizzabili che vengono successivamente rioccupati o implicano un semplice travaso di residenti tra un’occupazione e l’altra, in condizioni sempre più precarie. E’ questo il caso degli sgomberi reiterati del capannone di via Vannina presso la Stazione Tiburtina (marzo, aprile e giugno 2018), della ex Penicillina in via Tiburtina (dicembre 2018 e gennaio 2019) o di via Raffaele Costi a Tor Sapienza (settembre 2018 e gennaio 2019), immobili fatiscenti - nel caso di Raffaele Costi parliamo di un abuso edilizio a opera del palazzinaro romano Berardino Marronaro -, puntualmente rioccupati dopo poco tempo. Riguardano in genere situazioni che non sono coordinate dai movimenti di lotta per la casa, più simili a slum che a occupazioni organizzate. Vi sono costretti a vivere migranti e rifugiati a causa dell’infernale circuito repressivo prodotto dalle politiche securitarie, che da un lato riducono le strutture di accoglienza e integrazione (come nel caso della chiusura degli Sprar a opera di Salvini), ingrossando insediamenti precari e occupazioni, dall’altro mettono in atto sgomberi ricorsivi sempre più violenti e inefficaci, vista l’assenza di alternative.  Lo schema generale che emerge da queste vicende è sconfortante. A fronte di piani prefettizi che fissano priorità fondate principalmente sull’esigenza di scongiurare il danno erariale derivato dalla mancata esecuzione dell’ordine di rilascio, che implica pesanti sanzioni a risarcimento dei privati per la pubblica amministrazione, si assiste da un lato a sgomberi violenti e risolutivi in relazione a immobili di pregio o comunque facilmente valorizzabili, che siano di proprietà privata (Curtatone) o pubblica (Cardinal Capranica), dall’altro, più sotto traccia, si producono quelli che potremmo definire “sgomberi ricorsivi”, ovvero sgomberi di immobili periferici e difficilmente valorizzabili che vengono successivamente rioccupati o implicano un semplice travaso di residenti tra un’occupazione e l’altra, in condizioni sempre più precarie. E’ questo il caso degli sgomberi reiterati del capannone di via Vannina presso la Stazione Tiburtina (marzo, aprile e giugno 2018), della ex Penicillina in via Tiburtina (dicembre 2018 e gennaio 2019) o di via Raffaele Costi a Tor Sapienza (settembre 2018 e gennaio 2019), immobili fatiscenti - nel caso di Raffaele Costi parliamo di un abuso edilizio a opera del palazzinaro romano Berardino Marronaro -, puntualmente rioccupati dopo poco tempo. Riguardano in genere situazioni che non sono coordinate dai movimenti di lotta per la casa, più simili a slum che a occupazioni organizzate. Vi sono costretti a vivere migranti e rifugiati a causa dell’infernale circuito repressivo prodotto dalle politiche securitarie, che da un lato riducono le strutture di accoglienza e integrazione (come nel caso della chiusura degli Sprar a opera di Salvini), ingrossando insediamenti precari e occupazioni, dall’altro mettono in atto sgomberi ricorsivi sempre più violenti e inefficaci, vista l’assenza di alternative. 
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 L’unica eccezione a questa spirale repressiva si è manifestata con il caso di via Carlo Felice, l’immobile di proprietà della Banca d’Italia che a febbraio del 2019 è stato rilasciato in seguito a una “liberazione concordata” tra occupanti, movimenti, prefettura ed enti locali. Si è parlato infatti di “modello Carlo Felice” come soluzione replicabile più gradita agli enti locali, ma al momento è rimasto un caso isolato, anche per la carente volontà politica e capacità organizzativa degli enti stessi.  L’unica eccezione a questa spirale repressiva si è manifestata con il caso di via Carlo Felice, l’immobile di proprietà della Banca d’Italia che a febbraio del 2019 è stato rilasciato in seguito a una “liberazione concordata” tra occupanti, movimenti, prefettura ed enti locali. Si è parlato infatti di “modello Carlo Felice” come soluzione replicabile più gradita agli enti locali, ma al momento è rimasto un caso isolato, anche per la carente volontà politica e capacità organizzativa degli enti stessi. 
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 Si è arrivati così all’attuale definizione da parte del Comitato provinciale e Prefettura del piano sgomberi senza un vero programma che vada oltre la mera esecuzione degli interventi di sgombero. Eppure l’istruttoria ha fatto emergere il profilo complessivo dell’arcipelago delle occupazioni romane, del tutto anomalo sia rispetto al contesto nazionale sia se riferito al quadro europeo. Il “Protocollo operativo” per il censimento degli occupanti, predisposto da Prefettura e Città metropolitana e pubblicato il 22 gennaio 2018, parla di 90 stabili occupati (94 occupazioni abitative e 26 centri sociali, 53 di proprietà pubblica e 31 privata), mentre il “Programma” del Prefetto, del 18 luglio scorso, parla di 82 immobili occupati in cui “si sono stabilite oltre 11.000 persone della più varia nazionalità”. Si tratta perciò di un problema sociale molto esteso, che si continua però a trattare soltanto sotto il profilo della sicurezza, del decoro urbano, della legalità formale, senza capire che senza predisporre soluzioni abitative adeguate, viste le condizioni del mercato del lavoro e del mercato immobiliare, a colpi di sgomberi può essere soltanto aggravato. Si è arrivati così all’attuale definizione da parte del Comitato provinciale e Prefettura del piano sgomberi senza un vero programma che vada oltre la mera esecuzione degli interventi di sgombero. Eppure l’istruttoria ha fatto emergere il profilo complessivo dell’arcipelago delle occupazioni romane, del tutto anomalo sia rispetto al contesto nazionale sia se riferito al quadro europeo. Il “Protocollo operativo” per il censimento degli occupanti, predisposto da Prefettura e Città metropolitana e pubblicato il 22 gennaio 2018, parla di 90 stabili occupati (94 occupazioni abitative e 26 centri sociali, 53 di proprietà pubblica e 31 privata), mentre il “Programma” del Prefetto, del 18 luglio scorso, parla di 82 immobili occupati in cui “si sono stabilite oltre 11.000 persone della più varia nazionalità”. Si tratta perciò di un problema sociale molto esteso, che si continua però a trattare soltanto sotto il profilo della sicurezza, del decoro urbano, della legalità formale, senza capire che senza predisporre soluzioni abitative adeguate, viste le condizioni del mercato del lavoro e del mercato immobiliare, a colpi di sgomberi può essere soltanto aggravato.
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 Ma la mappa degli spazi sociali a rischio di sgombero fa emergere un profilo molto più esteso di questo processo, e l’ipotesi è che non sia tanto il fenomeno delle occupazioni in sé l’obiettivo principale di alcuni apparati istituzionali e forze politiche, bensì lo sradicamento sistematico dal territorio della capitale dell’autorganizzazione e della cooperazione sociale. In una nota inviata il 16 aprile scorso dall’ex direttore del Dipartimento del Comune Aldo Barletta al gabinetto della Sindaca, si sollecita lo sgombero per morosità di 6 centri sociali che operano in spazi in concessione di proprietà del Comune. Parliamo di spazi attivi da moltissimi anni, come Angelo Mai, Esc, Cortocircuito, Intifada, Astra, La Torre, che in molti casi esprimono un elevato valore sociale e culturale a fronte di piccole attività di autofinanziamento. Questi spazi, insieme a tutti gli altri spazi sociali in concessione, circa 200 (parliamo di palestre popolari, asili nido, sportelli legali, scuole di musica, teatri, associazioni che erogano servizi sociali o svolgono attività culturali), sono rimasti impigliati nella mala gestione amministrativa del Comune già finita nel mirino della Corte dei Conti, un retaggio storico delle passate amministrazioni che li ha proiettati tutti nell’irregolarità. Per parte sua il Comune amministrato dai 5s, nelle more infinite della definizione di un nuovo regolamento, sembra stia conducendo un gioco molto discutibile. Li porta allo sfinimento senza offrire sbocchi in assenza di un regolamento e nel contempo esegue sgomberi alla spicciolata e reclama canoni di mercato. Sono 35 gli sgomberi di spazi sociali eseguiti tra 2016 e 2017 senza un audit del valore sociale che si stava azzerando, in alcuni casi evidentissimo, come per gli spazi per l’autodeterminazione e la tutela delle donne (Lucha y Siesta, Casa delle donne ecc.).  Ma la mappa degli spazi sociali a rischio di sgombero fa emergere un profilo molto più esteso di questo processo, e l’ipotesi è che non sia tanto il fenomeno delle occupazioni in sé l’obiettivo principale di alcuni apparati istituzionali e forze politiche, bensì lo sradicamento sistematico dal territorio della capitale dell’autorganizzazione e della cooperazione sociale. In una nota inviata il 16 aprile scorso dall’ex direttore del Dipartimento del Comune Aldo Barletta al gabinetto della Sindaca, si sollecita lo sgombero per morosità di 6 centri sociali che operano in spazi in concessione di proprietà del Comune. Parliamo di spazi attivi da moltissimi anni, come Angelo Mai, Esc, Cortocircuito, Intifada, Astra, La Torre, che in molti casi esprimono un elevato valore sociale e culturale a fronte di piccole attività di autofinanziamento. Questi spazi, insieme a tutti gli altri spazi sociali in concessione, circa 200 (parliamo di palestre popolari, asili nido, sportelli legali, scuole di musica, teatri, associazioni che erogano servizi sociali o svolgono attività culturali), sono rimasti impigliati nella mala gestione amministrativa del Comune già finita nel mirino della Corte dei Conti, un retaggio storico delle passate amministrazioni che li ha proiettati tutti nell’irregolarità. Per parte sua il Comune amministrato dai 5s, nelle more infinite della definizione di un nuovo regolamento, sembra stia conducendo un gioco molto discutibile. Li porta allo sfinimento senza offrire sbocchi in assenza di un regolamento e nel contempo esegue sgomberi alla spicciolata e reclama canoni di mercato. Sono 35 gli sgomberi di spazi sociali eseguiti tra 2016 e 2017 senza un audit del valore sociale che si stava azzerando, in alcuni casi evidentissimo, come per gli spazi per l’autodeterminazione e la tutela delle donne (Lucha y Siesta, Casa delle donne ecc.). 
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 Il sospetto, corroborato dall’analisi degli elenchi degli immobili di proprietà comunale, in cui molti immobili sono spariti, è che si voglia svuotare gli spazi per riclassificare i beni da patrimonio indisponibile (e non alienabile) a patrimonio disponibile da mettere a bilancio.  Il sospetto, corroborato dall’analisi degli elenchi degli immobili di proprietà comunale, in cui molti immobili sono spariti, è che si voglia svuotare gli spazi per riclassificare i beni da patrimonio indisponibile (e non alienabile) a patrimonio disponibile da mettere a bilancio. 
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 Dalla mappa della “città contesa” emerge perciò una duplice evidenza. Decenni di autorganizzazione del sociale sono sotto attacco da parte di una coalizione di poteri, privati e pubblici, che ha messo in moto una spirale repressiva finalizzata alla messa a valore del patrimonio immobiliare e nel contempo all’estirpazione di un tessuto sociale capace di esprimere modelli alternativi di produzione, progettualità autonomamente e azione diretta. Dalla mappa della “città contesa” emerge perciò una duplice evidenza. Decenni di autorganizzazione del sociale sono sotto attacco da parte di una coalizione di poteri, privati e pubblici, che ha messo in moto una spirale repressiva finalizzata alla messa a valore del patrimonio immobiliare e nel contempo all’estirpazione di un tessuto sociale capace di esprimere modelli alternativi di produzione, progettualità autonomamente e azione diretta.
  
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  • Ultima modifica: 16/10/2019 18:43
  • da Stefano Simoncini